La discesa agli inferi del Signore e l’icona della Resurrezione

A differenza dell’arte religiosa del Rinascimento, che ha tentato di rappresentare in maniera realistica, ma con risultati poco convincenti, l’uscita di Cristo dal sepolcro, l’iconografia ortodossa ha scelto di rappresentare la Resurrezione con un linguaggio simbolico.

L’icona della Resurrezione (Anastasis) mostra Cristo che libera dall’Ade uomini e donne, tra cui si riconoscono spesso, per l’aureola che circonda il loro volto, i patriarchi dell’Antico Testamento collocati alla sua destra. Prendendoli per mano li fa uscire dalle profondità della terra, mentre calpesta le porte infernali che giacciono scardinate  vicino a serrature infrante e catene spezzate. Se la si vuole inserire in una cronologia storica, la scena si svolge mentre Cristo è ancora morto, prima della sua resurrezione, proprio nel momento in cui per mezzo della propria morte vince la Morte.

La liberazione dei prigionieri degli inferi è in parte un ricordo della Prima Lettera di Pietro, dove l’apostolo dice che Cristo, «messo a morte nella carne ma vivificato nello spirito, in esso andò a portare l’annuncio anche agli spiriti in prigione che un tempo erano stati disobbedienti» (3, 18-19). L’apostolo aggiunge poco dopo  che «è stata annunciata la buona novella anche ai morti, affinché, giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano secondo Dio nello Spirito» (4, 6). Ma, come è stato notato, la fonte letteraria più diretta di questa icona è forse un passo di un apocrifo del V secolo noto come Vangelo di Nicodemo (21, 3):

Venne allora una voce che diceva: «Aprite le porte!» Udita questa voce per la seconda volta, l’Ade rispose come se non lo conoscesse dicendo: «Chi è questo re della gloria?» Gli angeli del padrone gli risposero: «Un Signore forte e potente, un Signore potente in guerra!» A queste parole, le porte bronzee furono subito infrante e ridotte a pezzi, le sbarre di ferro polverizzate, e tutti i morti, legati in catene, furono liberati e noi con essi. Ed entrò, come un uomo, il Re della Gloria e furono illuminate tutte le tenebre dell’Ade.

Questa narrazione è evidentemente “mitologica”. Se la Chiesa non ha avuto timore di utilizzala non è per il suo valore storico, ma per il suo valore simbolico. Inoltre l’episodio cita alcuni testi dei Salmi,  interpretandoli come una profezia della Resurrezione. La prima parte è una citazione del Salmo 24, 7-10, che per due volte ripete: «Alzate principi le vostre porte, fatevi alzare porte secolari, ed entrerà il Re della gloria. Chi è questo Re della gloria? Il Signore forte e potente». L’autore del testo ha visto nei «principi» le potenze diaboliche, e nelle «porte secolari» le porte dell’Ade.

La seconda parte del passo è invece una lettura del Salmo 107, 14-16: «Li trasse dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene. Confessino al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie per i figli degli uomini, perché ha infranto le porte di bronzo e ha spezzato le sbarre di ferro». L’icona dell’Anastasis raffigura proprio le porte di bronzo infrante e le catene spezzate che prima della vittoria di Cristo avvincevano gli uomini nell’«ombra di morte».

Anche se l’iconografo che per primo dipinse l’icona dell’Anastasis si è ispirato al vangelo apocrifo di Nicodemo, il contenuto dell’icona è dunque del tutto biblico.
Ritroviamo del resto gli stessi temi, senza traccia del Vangelo di Nicodemo, nei tropari dell’ufficio della notte di Pasqua:

Avvolto nella sindone e composto nel sepolcro hai liberato i prigionieri che acclamano. Non c’è santo all’infuori di te, o Signore.

Quando tu vincesti col vigore del più forte, allora la tua anima [che discese negli inferi] si divise dalla carne [che restò nel sepolcro]. Entrambe infatti spezzano le catene della morte e dell’Ade, in virtù del tuo potere o Logos.

Regna l’Ade sulla stirpe dei mortali ma non in  eterno. Tu infatti, o potente, deposto nella tomba hai infranto i chiavistelli della morte con mano vivificante, e hai annunciato la vera liberazione a quanti là dormivano da secoli, o Salvatore, divenuto primogenito tra i morti.

Il secondo Adamo che dimora nel più alto dei cieli è disceso verso il primo, fino alle stanze segrete dell’Ade.

Esulti il creato, si rallegrino tutti gli abitanti della terra: è stato spogliato l’Ade, il nemico! Io libero Adamo insieme a Eva, con tutta la loro stirpe, e il terzo giorno risorgerò.

Il testo del Vangelo di Nicodemo dice che «tutti i morti furono liberati», non solo i Santi dell’Antico Testamento, e in effetti l’icona dell’Anastasis raffigura spesso, mentre escono dalla bocca dell’inferno, anche uomini senza aureola. Nella tradizione cattolica si è diffusa l’idea che a essere liberati da Cristo sarebbero stati invece solo i Patriarchi. Il beato Agostino di Ippona, che talvolta nei suoi scritti si è allontanato dall’ortodossia, in una sua lettera afferma che «non deve trarsi la conseguenza per cui si dovrebbe credere che sia stata concessa a tutti la grazia che la divina misericordia e giustizia ha accordato solo ad alcuni». Tommaso d’Aquino confermerà questa dottrina aggiungendo addirittura che la discesa di Cristo agli inferi «ebbe per effetto di confondere [i dannati] per la loro incredulità», e anche che non furono liberati i bambini morti senza battesimo! È difficile comprendere tanta durezza, che sembra quasi un residuo delle credenze manichee che Agostino aveva professato prima di convertirsi (i Manichei credevano infatti che esistesse un dio malvagio altrettanto potente del Dio misericordioso). I Padri ortodossi affermano il contrario. San Massimo il Confessore, commentando la Prima Lettera di Pietro, dice che Cristo liberò coloro che «più che per la loro ignoranza di Dio, venivano puniti per i mali che avevano inflitto agli altri» (A Talassio, 7). Massimo, come sempre, è molto cauto nel parlare della grande misericordia di Dio, perché teme che i peccatori traggano dalle sue parole motivi per non pentirsi, ma queste sue parole sono dense di implicazioni. Se la teologia occidentale sostiene che vennero liberati solo i Patriarchi, che erano giusti ed erano puniti soltanto perché non avevano potuto conoscere il Cristo, Massimo lascia intendere in primo luogo che Dio non si preoccupa dell’appartenenza religiosa, ma del male che gli uomini hanno commesso, e in secondo luogo, che Cristo liberò anche coloro condannati per i loro peccati, perché diede loro la possibilità di convertirsi e, come dice l’apostolo Pietro, di «vivere secondo Dio nello Spirito». Come ha notato il vescovo Ilarion Alfeev in una conferenza intitolata Cristo vincitore degli inferi (pubblicata sotto forma di opuscolo dal Monastero di Bose, e dalla quale ho tratto alcune delle citazioni che precedono), «nessun padre orientale si è mai permesso di determinare chiaramente chi sia stato lasciato agli inferi dopo la discesa di Cristo; nessuno ha mai parlato di bambini non battezzati lasciati negli inferi». Anzi, «i Padri parlano […] della distruzione totale degli inferi, dicendo che dopo la discesa di Cristo non rimase più nessuno, eccetto il diavolo e i demoni».

Ecco il motivo della scelta dell’Ortodossia di rappresentare la Resurrezione con la discesa agli inferi e non con l’uscita di Cristo dal sepolcro. La resurrezione di Cristo non è solo il rianimarsi del suo corpo, ma è la resurrezione in lui di ogni uomo. Cristo è morto per distruggere la morte, è sceso negli inferi per scardinarne le porte e conquistarlo.

Aggiungerei, per concludere e collegare queste annotazioni alla nostra vita attuale e alla Pasqua che stiamo per celebrare, che l’icona dell’Anastasis e la tradizione relativa alla discesa di Cristo agli inferi non riguardano solo l’inferno in senso proprio, ma anche i nostri inferni quotidiani, l’ombra di morte e le catene che ci avvolgono ogni giorno. Anche questi Cristo distrugge e anche da questi ci libera. Gesù non cessa di scendere agli inferi, come possiamo leggere in un’omelia attribuita a san Macario l’Egiziano: «Quando senti che in quel tempo il Signore liberò le anime dagli inferi e dalle tenebre, che discese agli inferi e compì un’opera mirabile, non pensare che tutte queste cose siano lontane dalla tua anima […]. Il Signore viene nelle anime che lo cercano, nel profondo degli inferi del cuore , e lì ordina alla morte: “Rilascia le anime prigioniere che cercano me e che tu trattieni con la forza”».

Anche coloro a cui sembra che l’ombra di morte non si dissolva non disperino. Se Dio permette questi inferi è per insegnarci l’umiltà. San Silvano del Monte Athos racconta che, tormentato dai demoni che gli impedivano di pregare, chiese aiuto a Gesù, e udì il Signore rispondergli: «Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare».

Da allora – continua san Silvano –  io tengo il mio spirito agli inferi e brucio nel fuoco tenebroso, e ardo d’amore per il Signore, e lo cerco con le lacrime e grido: «La fine è vicina, io morirò e abiterò nella buia prigione dell’inferno. Là io, solo, brucerò, e avrò nostalgia del Signore e piangerò: Dove sei, mio Signore, tu che la mia anima conosce?»

E da questo pensiero trassi grande giovamento. Il mio spirito venne purificato e l’anima mia trovò risposo.

Renato Giovannoli

 

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